Faccia a faccia con Lorenzo Ilieschi, il poeta sassarese adottato dalla 'Città del sole' di Alziator
«Il mio maestro? Prantaferru»
Lunedì 31 ottobre 1994
Poesie, polemiche e amarcord
Fresco di medaglia d'oro - un elefante sulla terra - al concorso letterario in memoria di
Francesco Alziator, non si dà pace, lui sassarese di nascita, del fatto che giornalie tv non
abbiano ricordato uno dei più illustri esponenti della cultura sarda che cantò la comunità
natale come 'città del sole'. Lorenzo Ilieschi è ormai cagliaritano di elezione, oltre che di
adozione.Mastru Larentu vive in città dal lontano 1932, più di sessant'anni, così che le sue
poesie non sono sempre scritte in logudorese: proprio con un sonetto in campidanese ha
meritato la vittoria al concorso di 'Vivi Castello'. Ottant'anni portati magnificamente, i
riflessi-lampo di chi ha l'inclinazione naturale a cogliere gli aspetti singolari, ironici,
paradossali della vita: fioccano le battute, fioriscono i versi satirici che di recente ha
condensato nel volume di Della TorreCampanas e repicu. Il premio Alziator è il sigillo più
recente.Che effetto le fa? «Di grande piacere. Alzitor, fra l'altro, è stato professore di
Lettere di mio figlio all'Istituto agrario. L'ho conosciuto in riflesso, anche se mi è capitato
di parlarci direttamente più di una volta ai colloqui».Come lo ricorda? «Come un uomo
brillante. Gli aneddoti su di lui abbondano».Ne racconti uno. «Una volta, durante la
ricreazione, Alziator era circondato dai suoi allievi che lo ascoltavano estasiati. Un altro
professore, evidentemente invidioso, gli disse: o Cuccucciu, paris sa luna ingiriada de is
stellas.
Alziator rispose: beni, ponimì sa facci in ... chi fadeus s'eclissi».Tra i tanti premi che lei
ha avuto per la poesia, questo ha un sapore particolare o no? «Lo dico senza
retorica. Questo è il premio che mi gratifica di più per una serie di motivi: Alziator, la
variante campidanese che non è la mia nativa, la giuria con Aquilino Cannas, Luisa
D'Arienzo, Faustino Onnis, Salvatore Cubeddu, Pino Loi».Cagliari premia un
forestiero. Ma lei come si considera? «E come potrei più sentirmi un estraneo? Sono
qui dal 1932».Com'era Cagliari negli anni Trenta? «Una città dai rimi umani, solare,
pulita. Ricordo che il viale Merello era tutto un profumo di gelsomini».Lei dove stava?
«Lavoravo alle Ferrovie dello Stato e abitavo in viale Trieste Trieste . Poi l'azienda costruì
le case per noi in viale Merello e ce le diede con diritto di riscatto».Se dovesse
descrivere il viale Merello di quegli anni, gelsomini a parte, cosa direbbe? «Era
come un paese.
Ci conoscevamo tutti e ci scambiavamo le visite.
Allora le famiglie si frequentavano. Poi la televisione ha reso deserte le strade e addio
passeggiate e scambi».Ha trovato difficoltà ad ambientarsi, lei che veniva da un
paese come Ploaghe? «Mi sono ambientato subito. I cagliaritani sono stati molto gentili
e ospitali. Certo, oggi un giovane troverebbe mille difficoltà. Non c'è più affiatamento
neppure tra inquilini dello stesso palazzo».Quali amici ricorda di più? «Uno in
particolare, che mi aiutò nei prii anni. Era un poeta e faceva il funzionario delle Ferrovie.
Veniva da Paulilatino e si chiamava Bachisio Scarpa ma era conosciuto con lo pseudonimo
di Prantaferru. E' stato lui, poi, a metermi in contatto con la redazione della rivista
S'Ischiglia del compianto Angelo Dettori».A proposito di S'Ischiglia, buona parte
degli abbonati e dei lettori si chiede come mai lei abbia interrotto la
collaborazione.Cossa può dire?
Cossa può dire? «Quando la rivista ricomparve nelle edicole dopo molti anni di silenzio,
nel 1980, fui richiamato dal direttore Acquilino Cannas. Qualche anno fa, quando Aquilino
andò via, io pensai di fare la stessa cosa, per riguardo a lui e il nuovo direttore che ha il
diritto di scegliersi i collaboratori».Torniamo alla città.Lei spesso parla di Cagliari
pulita, riferendosi a quegli anni.
Lei spesso parla di Cagliari pulita, riferendosi a quegli anni. «Mi spiego. Quando
partii per il servizio militare fui destinato a Napoli Napoli , che era una città sporca.
quando ritornai, nel 1936, Cagliari mi sembrò un salotto enorme e ben tenuto».E la gente
com'era? «Semplice, disponibile, povera ma abbastanza spensierata. C'erano i cosiddetti
allegronis, che dormivano sotto i portici della via Roma Roma e fuggivano soltanto quando
vedevano comparire Ciccio Cappuccio».Chi era costui? «Un appuntato della polizia, non
so il vero nome. Il nomignolo di Ciccio Cappuccio glielo avevano affibbiato i picioccus de
crobi. Veniva da Bonorva e incuteva spavento per la mole enorme».Picioccus de crobi,
allegronis, gioventù sbandata. Chi se ne prendeva cura, a parte Ciccio
Cappuccio? «C'era l'istituto Walter Pasella, al Poetto, per ragazzi senza famiglia, gestito
dalle suore. Assicurava la scuola, l'alloggio e il vitto».Cagliari di oggi. Dove vede il
male maggiore? «Nella droga, che ne ha fatto una città insicura. Oggi è pericoloso
uscire, per donne, anziani soprattutto».Quale augurio si sente di fare alla sua città
di adozione? «Di avere amministratori che se ne curino veramente, nei fatti e non solo
nelle dichiarazioni programmatiche». Della Cagliari vecchia, che Enrico Endrich voleva
ricca di verde, riane poco. PerMastru Larentu è cambiata anche la gente («Oggi c'è chi si
indebita per lo sfarzo di una Cresima»). E come sarà il paese d'origine? Ilieschi non ha il
coraggio di tornarci («Manca troppa gente»): teme di trovare un altro pianeta. Ad
attenuargli la solitudine - il poeta è rimasto vedovo - pensano i quattro figli
(«Meravigliosi») e dànno lenimento la fede («Mi aiuta a vivere») e la poesia: quella sua e
quella altrui. Purché sia ben fatta». PAOLO PILLONCA LORENZO ILIESCHI: RITRATTO
D'AUTORE.?\(FOTO NINO SOLINAS)\
«Il mio maestro? Prantaferru»
Lunedì 31 ottobre 1994
Poesie, polemiche e amarcord
Fresco di medaglia d'oro - un elefante sulla terra - al concorso letterario in memoria di
Francesco Alziator, non si dà pace, lui sassarese di nascita, del fatto che giornalie tv non
abbiano ricordato uno dei più illustri esponenti della cultura sarda che cantò la comunità
natale come 'città del sole'. Lorenzo Ilieschi è ormai cagliaritano di elezione, oltre che di
adozione.Mastru Larentu vive in città dal lontano 1932, più di sessant'anni, così che le sue
poesie non sono sempre scritte in logudorese: proprio con un sonetto in campidanese ha
meritato la vittoria al concorso di 'Vivi Castello'. Ottant'anni portati magnificamente, i
riflessi-lampo di chi ha l'inclinazione naturale a cogliere gli aspetti singolari, ironici,
paradossali della vita: fioccano le battute, fioriscono i versi satirici che di recente ha
condensato nel volume di Della TorreCampanas e repicu. Il premio Alziator è il sigillo più
recente.Che effetto le fa? «Di grande piacere. Alzitor, fra l'altro, è stato professore di
Lettere di mio figlio all'Istituto agrario. L'ho conosciuto in riflesso, anche se mi è capitato
di parlarci direttamente più di una volta ai colloqui».Come lo ricorda? «Come un uomo
brillante. Gli aneddoti su di lui abbondano».Ne racconti uno. «Una volta, durante la
ricreazione, Alziator era circondato dai suoi allievi che lo ascoltavano estasiati. Un altro
professore, evidentemente invidioso, gli disse: o Cuccucciu, paris sa luna ingiriada de is
stellas.
Alziator rispose: beni, ponimì sa facci in ... chi fadeus s'eclissi».Tra i tanti premi che lei
ha avuto per la poesia, questo ha un sapore particolare o no? «Lo dico senza
retorica. Questo è il premio che mi gratifica di più per una serie di motivi: Alziator, la
variante campidanese che non è la mia nativa, la giuria con Aquilino Cannas, Luisa
D'Arienzo, Faustino Onnis, Salvatore Cubeddu, Pino Loi».Cagliari premia un
forestiero. Ma lei come si considera? «E come potrei più sentirmi un estraneo? Sono
qui dal 1932».Com'era Cagliari negli anni Trenta? «Una città dai rimi umani, solare,
pulita. Ricordo che il viale Merello era tutto un profumo di gelsomini».Lei dove stava?
«Lavoravo alle Ferrovie dello Stato e abitavo in viale Trieste Trieste . Poi l'azienda costruì
le case per noi in viale Merello e ce le diede con diritto di riscatto».Se dovesse
descrivere il viale Merello di quegli anni, gelsomini a parte, cosa direbbe? «Era
come un paese.
Ci conoscevamo tutti e ci scambiavamo le visite.
Allora le famiglie si frequentavano. Poi la televisione ha reso deserte le strade e addio
passeggiate e scambi».Ha trovato difficoltà ad ambientarsi, lei che veniva da un
paese come Ploaghe? «Mi sono ambientato subito. I cagliaritani sono stati molto gentili
e ospitali. Certo, oggi un giovane troverebbe mille difficoltà. Non c'è più affiatamento
neppure tra inquilini dello stesso palazzo».Quali amici ricorda di più? «Uno in
particolare, che mi aiutò nei prii anni. Era un poeta e faceva il funzionario delle Ferrovie.
Veniva da Paulilatino e si chiamava Bachisio Scarpa ma era conosciuto con lo pseudonimo
di Prantaferru. E' stato lui, poi, a metermi in contatto con la redazione della rivista
S'Ischiglia del compianto Angelo Dettori».A proposito di S'Ischiglia, buona parte
degli abbonati e dei lettori si chiede come mai lei abbia interrotto la
collaborazione.Cossa può dire?
Cossa può dire? «Quando la rivista ricomparve nelle edicole dopo molti anni di silenzio,
nel 1980, fui richiamato dal direttore Acquilino Cannas. Qualche anno fa, quando Aquilino
andò via, io pensai di fare la stessa cosa, per riguardo a lui e il nuovo direttore che ha il
diritto di scegliersi i collaboratori».Torniamo alla città.Lei spesso parla di Cagliari
pulita, riferendosi a quegli anni.
Lei spesso parla di Cagliari pulita, riferendosi a quegli anni. «Mi spiego. Quando
partii per il servizio militare fui destinato a Napoli Napoli , che era una città sporca.
quando ritornai, nel 1936, Cagliari mi sembrò un salotto enorme e ben tenuto».E la gente
com'era? «Semplice, disponibile, povera ma abbastanza spensierata. C'erano i cosiddetti
allegronis, che dormivano sotto i portici della via Roma Roma e fuggivano soltanto quando
vedevano comparire Ciccio Cappuccio».Chi era costui? «Un appuntato della polizia, non
so il vero nome. Il nomignolo di Ciccio Cappuccio glielo avevano affibbiato i picioccus de
crobi. Veniva da Bonorva e incuteva spavento per la mole enorme».Picioccus de crobi,
allegronis, gioventù sbandata. Chi se ne prendeva cura, a parte Ciccio
Cappuccio? «C'era l'istituto Walter Pasella, al Poetto, per ragazzi senza famiglia, gestito
dalle suore. Assicurava la scuola, l'alloggio e il vitto».Cagliari di oggi. Dove vede il
male maggiore? «Nella droga, che ne ha fatto una città insicura. Oggi è pericoloso
uscire, per donne, anziani soprattutto».Quale augurio si sente di fare alla sua città
di adozione? «Di avere amministratori che se ne curino veramente, nei fatti e non solo
nelle dichiarazioni programmatiche». Della Cagliari vecchia, che Enrico Endrich voleva
ricca di verde, riane poco. PerMastru Larentu è cambiata anche la gente («Oggi c'è chi si
indebita per lo sfarzo di una Cresima»). E come sarà il paese d'origine? Ilieschi non ha il
coraggio di tornarci («Manca troppa gente»): teme di trovare un altro pianeta. Ad
attenuargli la solitudine - il poeta è rimasto vedovo - pensano i quattro figli
(«Meravigliosi») e dànno lenimento la fede («Mi aiuta a vivere») e la poesia: quella sua e
quella altrui. Purché sia ben fatta». PAOLO PILLONCA LORENZO ILIESCHI: RITRATTO
D'AUTORE.?\(FOTO NINO SOLINAS)\